Acqua: un bene comune nelle nostre mani

Erika Solimeo
7 min readJun 17, 2021

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Il filo blu della vita

Relegare il valore dell’acqua ad una sola dimensione, ad un solo aspetto di vita non è solo un inganno, ma una pericolosa non curanza.

L’acqua è la base della vita nella sua complessità, dal macrocosmo al microcosmo, regolando la vita sulla Terra ma anche il nostro stesso organismo, di cui è la maggiore componente. L’acqua è un diritto umano universale in sè, assicurando sopravvivenza e dignità, ma anche fondamento indiretto per assicurare cibo, nutrimento e salute, aspetti mai così urgenti come in questo periodo di pandemia e disfunzionamenti. L’acqua può arrivare a dividere popoli, ma in molti casi unisce comunità, religioni, culture. Dall’acqua dipendono intere economie, si reggono delicati rapporti diplomatici, si scandiscono rapporti commerciali.

L’acqua è una risorsa dai mille volti e dalle mille vesti. Eppure rimane allo stesso tempo quel bene fondamentale che accomuna ogni essere vivente sulla Terra.

Continuare a parlare di acqua è necessario per ricordarsi del valore cruciale di questa risorsa, ancora troppo spesso sottovalutata, dimenticata, ignorata, sprecata, contaminata, svilita.

E’ infatti di marzo 2021 l’ultimo report UNESCO intitolato proprio Valuing Water, per stressare quanto, in un mondo sempre più desertificato ed alterato dal cambiamento climatico, la gestione e la sicurezza idrica siano ancora ben lontani dagli obiettivi inclusi nell’SDG 6. 2,2 miliardi di persone al mondo non hanno ancora accesso all’acqua potabile. Oltre 700.000 bambini sotto i 5 anni muoiono ogni giorno a causa di malattie generate dall’assenza di adeguati servizi sanitari ed acqua di qualità.

Dati che a volte faticano ad essere raccolti meticolosamente e che stridono con inefficienze e perdite, non curanza e speculazioni. E’ di dicembre dell’anno scorso infatti la quotazione dell’acqua sulla piazza finanziaria Nasdaq California, con il Water index. Una decisione che ha generato reazioni e forti opposizioni, ma anche molti interessi, soprattutto da parte di trader ed investitori in attesa di vedere il prezzo dell’acqua salire a seguito di un suo progressivo esaurimento. Si tratta di contesti, quelli dei mercati dell’acqua, che sono già diffusi in altri Paesi del mondo, come l’Australia, utilizzati dal governo proprio per “gestire il problema della incombente scarsità idrica”. Eppure che l’acqua sia un bene comune dell’umanità, ed in quanto tale “la gestione delle risorse idriche non possa essere assoggettata alle norme del mercato interno” veniva già chiaramente riconosciuto nel lontano 2004 nella risoluzione del Parlamento europeo.

Come possiamo allora proteggere un bene comune da tali paradossi ed illogicità in un mondo che ha e avrà sempre più sete?

Caso Italia: a 10 anni dal referendum per l’acqua pubblica

Il 12 ed il 13 Giugno 2011 quasi 26 milioni di italiani si sono espressi nel referendum affinché il servizio idrico nazionale rimanesse pubblico. Una chiara decisione, arrivata a maggioranza assoluta dal popolo italiano e promossa dal Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, un gruppo di associazioni, sindacati ed organizzazioni cittadine per promuovere il concetto di acqua come bene comune, preservandolo dai pericoli di mercificazione. Eppure a 10 anni da questo referendum, il quadro italiano appare frammentato, incompleto, incredibilmente complesso e a tratti contraddittorio. In un’Italia colpita da improvvise interruzioni della fornitura idrica e indici regionali di dipendenza idrica in aumento, una legge sulla gestione idrica pubblica ancora non c’è. E non c’è nemmeno più il testo del referendum così come era stato votato dal popolo italiano, trasformato nel tempo da più di 200 emendamenti ed aggiustamenti, tra cui quelli volti a reinserire “il profitto garantito” per i gestori idrici. Una delle conseguenze più evidenti, accanto al progressivo aumento di una gestione dell’acqua privata, è la carenza di investimenti per la manutenzione delle reti idriche, soldi che secondo il Forum Italiano per l’Acqua finiscono invece nelle tasche degli azionisti, pubblici e privati, come dividendi. Eppure lo stato della rete idrica italiana è obsoleta con il 42% dell’acqua erogata che si perde mediamente nella distribuzione. Si tratta di quantità che, così come stimato dall’ISTAT 2021, potrebbe assicurare acqua per circa 44 milioni di persone in un anno.

A questa situazione particolarmente complessa, è necessario aggiungere gli aumenti delle tariffe idriche per i consumatori in gran parte delle regioni italiane, mentre ci si prepara ai razionamenti idrici ora che l’estate sta arrivando: solo in Sicilia, 552.000 famiglie denunciano irregolarità nell’erogazione dell’acqua, dovendo fronteggiare situazioni in cui abitazioni, bar e ristoranti possono stare fino a 20 giorni senza acqua.

Con tariffe sempre più alte e sempre maggiori difficoltà di accesso al servizio idrico, il rischio che solo chi potrà permettersi di pagare l’acqua potrà effettivamente disporne diventa sempre più reale.

Acqua: la fotografia dall’Europa

Il dibattito che ha scatenato l’acqua in Italia non è un caso isolato.

Le prime due decadi del 2000 hanno visto anche diversi altri Paesi in Europa in fermento per assicurare una piena implementazione del diritto all’acqua.

Accanto a Parigi, che dal 2008 ha avviato un processo di ripubblicizzazione dei servizi idrici per diminuire le tariffe imposte alla popolazione, tanti sono stati i referendum sull’acqua in cui il popolo ha fatto sentire la propria voce: a Berlino (2011) per porre fine alla concessione data alle aziende private RWE and Veolia; in Grecia (2014) per evitare la privatizzazione della compagnia pubblica che fornisce servizi idrici; in Spagna — Barcellona (2018), per richiedere una rimunicipalizzazione della fornitura idrica; in Slovenia che andrà al voto il mese prossimo, l’11 Luglio.

Contesti che sono stati supportati dalla presenza e supporto di Right2Water, un movimento di cittadini, gruppi comunitari, sindacati che hanno guidato un approccio all’acqua basato sui diritti e non sul mercato. Contesti che spesso sono intrecciati con controversie legali, interessi politici, attivismo sociale, resistenze e contraddizioni, tutte complessità che in alcuni casi ostacolano la stessa comprensione dei reali scenari locali e nazionali.

La ragione per cui comprendere il reale funzionamento degli scenari nazionali è così importante, deriva dal fatto che la Commissione Europea rimette agli stati Membri l’implementazione del diritto umano all’acqua.

Ugualmente, l’acqua torna al centro delle priorità europee, prima con la Direttiva 2184/2020 (Drinking Water Directive) volta a garantire accesso gratuito ad acqua di rubinetto di alta qualità in tutti gli edifici pubblici e con il Green Deal Europeo, in cui le minoranze e le persone indigenti vengono riportate al centro delle politiche di accesso all’acqua, puntando a su investimenti vincenti per tutti, sul riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione agricola, favorendo infrastrutture sostenibili per la raccolta dell’acqua e soluzioni basate sulla natura per prevenire siccità ed inondazioni.

Verso modelli di gestione idrica partecipativi

Uno dei principali equivoci quando si tratta il delicato tema dell’accesso all’acqua è che acqua privata voglia dire acqua a costi elevati, mentre acqua pubblica sia sinonimo di acqua gratuita. In realtà, una gestione efficiente e capillare dei servizi e della fornitura idrica impone dei costi (di gestione, manutenzione, efficientamento, ammodernamento) anche nel caso di acqua gestita pubblicamente, costi che ricadono sui consumatori.

Quello che spaventa è che quando beni così preziosi ed esauribili come l’acqua sono assoggettati ai principi di mercato, il loro prezzo sia subordinato a logiche speculative piuttosto che reali costi di erogazione del servizio, con la conseguenza che sono spesso gli indigenti a pagarne le conseguenze maggiori. Gli stati hanno infatti obblighi di utilizzare le massime risorse disponibili per assicurare l’adempimento di diritti umani, cosa che al contrario aziende private non hanno. Studi inoltre confermano che coloro che si trovano in condizioni di scarsità economica sono molto spesso meno intuitivi, meno lungimiranti e mentalmente meno reattivi, con la conseguenza che tenderanno inconsapevolmente a reiterare all’infinito la loro condizione di scarsità. Una meccanica che li subordina al controllo del ricco, aumentando sempre di più la forbice di ineguaglianza che già graffia l’attuale tessuto sociale ed economico mondiale e minando alla base i principi di giustizia idrica.

Proprio per questo motivo, rappresentanti delle Nazioni Unite, come l’attuale Relatore Speciale sui diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienici, Pedro Arrojo-Agudo, in carica dal 2020, ha espresso grave preoccupazione in merito alla mercificazione dell’acqua.

“L’acqua è davvero una risorsa vitale per l’economia — sia per i grandi che per i piccoli attori — ma il valore dell’acqua è più di questo. L’acqua ha una serie di valori vitali per la nostra società che la logica di mercato non riconosce e quindi non può gestire adeguatamente, tanto meno in uno spazio finanziario così incline alla speculazione”, ha riferito Arrojo-Agudo.

Visione già ribadita dai suoi predecessori, Leo Heller e Catarina de Albuquerque che ricordano l’importanza di assicurare una gestione idrica trasparente, democratica, assicurando una piena partecipazione e collaborazione da parte dei cittadini. Forme di gestione idrica integrata e partecipativa, in cui la governance viene dal basso ovvero affidata direttamente nelle mani di coloro che di fatto usufruiranno del servizio, sono infatti strumenti fondamentali per assicurare sistemi di sviluppo socio-ecologico. Ne è una testimonianza il caso studio della FAO in Andhra Pradesh (India), in cui forme di gestione partecipata dell’acqua sotterranea sono considerati metodi necessari per assicurare la sopravvivenza delle comunità rurali e dei piccoli produttori.

Il dibattito in corso sulla transizione ecologica e gli importanti appuntamenti politici ed istituzionali di quest’anno, inclusi il G20, COP26 e UN Food System Summit, tutti partono dal presupposto che non possiamo più indugiare: abbiamo bisogno di sistemi equi ed inclusivi, che diffondano e difendano le risorse naturali ed un loro uso etico.

Se così fosse vero, non possiamo permettere che esistano cittadini di serie A e di serie B nell’accesso a risorse essenziali per la vita, come l’acqua. Garantire l’acqua come un bene comune è perciò una prerogativa centrale per il benessere collettivo.

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Erika Solimeo

Environment & Ocean Activist & Researcher. Water & Nature-rights focused. Opening minds to the Future of Food. @Ffoodinstitute #FutureFoodKnowledge